ABSTRACT
L’amore ha dimensioni naturali, con radici religiose, e una dimensione soprannaturale, di carità donata, proveniente dalla redenzione operata da Cristo nel mistero pasquale: incarnazione, passione e morte, risurrezione, Pentecoste. A livello naturale subisce le deviazioni e gli inganni propri del peccato originale. A livello soprannaturale occorre entrare nella vita di fede meritata da Gesù Cristo e donata a noi dallo Spirito Santo. Si tratta di un mondo ontologicamente nuovo. Nuova creazione, nuova partecipazione all’Essere con intensificazione dell’atto di essere, e nuova consapevolezza, nei doni dello Spirito Santo. A Pentecoste cambia la mentalità degli apostoli, passando dalla pre-comprensione dettata dalla tradizione ebraica a un modo di pensare nuovo, cristiano. Per questo è di somma importanza distinguere le dimensioni naturali della religione dalla dimensione soprannaturale della fede cristiana.
Concretamente c’è ben poco Vangelo vivo nel mondo. Per secoli lo si è lasciato ai voti religiosi, distinguendo un cristianesimo secondo i comandamenti e un altro secondo i consigli. In realtà esiste un solo Vangelo, compatibile con tutti gli stati di vita onesti. Ma occorre che ciascuno senta la chiamata di Cristo personale, nell’amore. Che risponda con una sequela reale. In un cammino di santità (con Parola, sacramenti, pastori). In comunione carismatica primaria. Con mandato missionario.
Se manca una di queste cinque articolazioni, non c’è Vangelo vivo.
Ciò dovrebbe aprire gli occhi su come tanti si ritengono cristiani, ma sotto l’etichetta ci sia solo per alcuni un po’ di religione. Le realtà laicali carismatiche hanno aperto cammini di santità nel mondo, basati sul battesimo. Occorre che tutta la chiesa istituzionale sia a sostegno della comunione carismatica.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Riporto alcuni paragrafi presi dal libro Il male più grande.
Vedere anche alcune considerazioni sulla “riflessività”.
Istituzione e comunione carismatica
Una delle distinzioni che emergono tra religione e fede è quella di una chiesa istituzione e di una chiesa come comunione carismatica. La prima risponde al bisogno socio-sacrale. È la configurazione sociale della dimensione religiosa. Tutti hanno una qualche istituzione che regge i legami sociali o religiosi in cui sempre ci si muove. Nel cristianesimo la Chiesa istituzione ha un suo posto insostituibile. I protestanti hanno cercato di prescindere dall’istituzione, ma per crearne altre, visto che la fede crea legami e questi hanno sempre una valenza sociale e religiosa. Ma nel cristianesimo deve essere ben chiaro che la chiesa-istituzione è a sostegno della Chiesa-comunione e per comunione si deve intendere non il legame socio-sacrale che comunque c’è anche tra i cristiani, ma la comunione carismatica istituita dallo Spirito Santo a Pentecoste, sostanziata dal comandamento nuovo di Gesù Cristo.
Che l’Istituzione abbia prevalso sulla comunione fa parte del male più grande, dello svuotamento del Vangelo proprio da parte dei pastori preposti a capo dell’Istituzione. Invece di fare dell’Istituzione un servizio costante al cammino di santità legato al battesimo, hanno lasciato questo compito ai religiosi, orientando la più grande e più bella istituzione del mondo a sostegno di una bella religione, ma a scapito del Vangelo salvifico. Non sia presa questa affermazione come contestazione dell’operato della Chiesa nei secoli. Ognuno fa quello che può. Semmai si tratta di capire sempre meglio. Del resto quante cose belle, quante persone sante all’ombra del campanile. Quanti pastori indefessi, anche se forse sarebbe stato bene che suscitassero laici indefessi in cammini reali di santità.
Quando la responsabilità dell’Istituzione ecclesiale toglie il primato alla persona e alla carità, quando il sabato prevale sull’uomo, il demonio ha ottenuto il male più grande del mondo, lo svuotamento del Nuovo Testamento. Dostoevskij lo ha bene esemplificato con la leggenda del grande inquisitore nel romanzo I fratelli Karamazov. Pensando che da Costantino è quello che quasi sempre è successo nella gerarchia e nei preti, si spiega come vanno le cose in Europa e nel mondo occidentale dopo tanti secoli di cristianesimo1. Il problema è che, come scrisse Yves Congar, «Le nostre chiese sono ancora piene di pagani che vanno a Messa»2. O come osservava argutamente il Cardinale Giacomo Biffi: il problema oggi non è tanto quello de cristiani non praticanti, ma dei praticanti non credenti. Il Concilio Vaticano II e gli ultimi papi hanno lottato molto per superare lo scollamento tra Istituzione e comunione carismatica; Papa Francesco intuisce in modo particolare l’urgenza di liberare il Vangelo dalle strette dell’Istituzione, ma c’è bisogno di un supporto teologico che chiarisca meglio i termini in campo, la loro distinzione e la loro unità. Distinzione di carità dalle opere, di fede da religione, di verità a servizio dell’amore rispetto alla verità a servizio della responsabilità. Senza contrapporre i termini, ma con giuste priorità. Nei due libri Nuova evangelizzazione e comunione primaria in parrocchia e Comunione carismatica in parrocchia, della Editrice Cantagalli, ho cercato di chiarire un elemento fondamentale: non basta essere ben convinti del primato della comunione se poi lo si lascia alla predicazione e alla catechesi senza offrire nelle parrocchie un reale cammino di santità. La gente sente un richiamo alla fede, ma non ha dove viverla, visto che in genere si offre solo una appartenenza socio-sacrale. Non è per nulla facile rendersi conto di cosa voglia dire appartenere in modo primario e come tutti hanno il cuore chiuso in un gruppo primario3. Solo con questa riflessività si può giungere alla necessità di un cammino reale di fede. La comunione carismatica richiede una presa di coscienza, una scelta libera e decisa, un partire insieme ad altri e pertanto anche una proposta chiara. Ci dovrebbe essere in ogni parrocchia un nucleo di comunione carismatica primaria in espansione, per rendere operativa la chiamata universale alla santità e all’apostolato.
Può sembrare utopia, ma invece è solo chiarezza del kerigma. Perché tutti hanno una “chiesa”, con piena presa sul cuore. Una “relazione vitale” che dà senso alla vita, a costo di ogni sacrificio. Può servire il riflettere sulla lealtà, che porta ad essere fedeli ad una causa o a delle persone anche a costo della vita. E se si tradisce la fiducia è perché il cuore è legato altrove.
Per favorire la scelte libera in un cammino di santità occorre far risuonare il kerigma. In genere si intende per kerigma l’annuncio della Risurrezione. Effettivamente i primi cristiani annunciavano il Cristo risorto, ma insieme anche il Signore: Gesù è risorto, Gesù è il Signore. E insistevano di più su il Signore, che indica il Regno, dove Gesù risorto regna sovrano. Di fatto il kerigma di Gesù era il Regno. Il Regno implica senz’altro la sequela di Cristo, coinvolgendo tutta la vita; ma può avvenire solo in comunione fraterna, a livello di comandamento nuovo, da non prendersi solo come virtù personale, ma come legge costituzionale del Regno, come visibilità di appartenenza: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» (Gv 13, 35).
Questo dice che imbattersi in Gesù, vivo nel suo Regno, incarnato con tutti i limiti umani da una compagine di suoi discepoli, può prendere il cuore e renderlo disponibile per le esigenze evangeliche, fino al celibato, ma non pensando che implichi più generosità del matrimonio cristiano. Per le sequele umane si fanno innumerevoli sacrifici. Se si fa risuonare la chiamata di Cristo, con scelta vocazionale del battesimo in un cammino ecclesiale carismatico, si superano tutte le difficoltà4. Se non si vede quest’amore nuovo (dei primi cristiani si diceva: “guardate come si amano”) vuol dire che non usiamo la libertà per desiderare la misericordia, e cadiamo in una lotta ascetica dove prevale il nostro risultato, secondo la tentazione pelagiana. I fondatori di fatto hanno risolto proprio il passaggio ad una scelta carismatica. E che sia facile lo dimostra anche il fatto che tante ideologie, tante sette o tanti gruppi sociali riescono a prendere il cuore e ad ottenere tutto da chi si incorpora, perché hanno un modo facile ed immediato di porre di fronte ad una scelta, dentro o fuori, che affascina il cuore di chi ha comunque una appartenenza sociale ma piuttosto precaria e vuota di contenuti.
Solo in comunione carismatica si vince il secolarismo. In genere tra i cattolici praticanti c’è molto secolarismo. Se prevale l’immagine sociale ci si adegua ai canoni di questo mondo. Dove invece c’è appartenenza carismatica non c’è praticamente secolarismo: la famiglia è aperta a più figli, la castità ha il suo posto prima e durante il matrimonio, i soldi non sono visti come sicurezza umana o visibilità di immagine, ecc. Dovrebbe bastare questo per capire che il Vangelo lo si può viver solo in comunione carismatica primaria. Ma altrettanto importante è capire come proporre tale comunione in modo che liberamente la si possa scegliere mettendoci il cuore.
Nelle esortazioni viene a mancare l’atto generativo. Si può parlare di bellezza della vita, di aver figli, di famiglia feconda nell’amore, ma se manca l’atto generativo concreto i figli non nascono. Ugualmente succede per la conversione ad un cammino di santità caratterizzato dal comandamento nuovo5. Anche la riforma di Papa Francesco rischia di essere soffocata dalle numerose esortazioni che non diventano vita per mancanza di appartenenza carismatica primaria.
Tra i primi cristiani la comunione prevaleva sull’istituzione, ma poi questa ha prevalso. Nelle comunità carismatiche la comunione prevale sull’istituzione, anche se la storia può raccontare di tante realtà già fiorenti che si fanno irretiscono sotto il prevalere dell’istituzione. Nel libro Comunione carismatica in parrocchia offro alcune indicazioni per favorire il prevalere della comunione lungo il passare del tempo e metto in guardia soprattutto dall’astuzia del demonio che sa sfruttare molto bene la responsabilità di condurre una istituzione per togliere la carità della comunione. Il demonio ha un’unica grande ossessione: togliere la carità. E per questo usa tante armi; certamente i piaceri fuori posto, specialmente sessuali, ma ancor più l’amor proprio, la paura, lo scoraggiamento, facendo dipendere la nostra vita cristiana più dai nostri propositi e dalle nostre opere che dalla grazia. Comunque le sue armi più affilate sono la verità, la giustizia e la responsabilità. Con la giustizia gli è facile, basti vedere come i comunisti in nome dell’assoluto della giustizia abbiano commesso crimini orrendi proprio contro la giustizia. Con la verità è facile lasciare da parte la carità. Essendo necessaria la verità, basta impugnarla per il potere che dà su tutti per non vedere più il vero bene di ogni persona. Si è arrivati a mandare al rogo degli eretici (veri o presunti) in nome della verità! Più facile e più comune è l’inganno della responsabilità: una madre che sente la responsabilità di educare bene i figli, facilmente si irrita con il marito che secondo lei non collabora sufficientemente. Questa frizione tra i genitori procura molto più danno ai figli che non l’eventuale difetto di uno dei coniugi. Con la responsabilità di una istituzione è molto facile vedere le persone in funzione dei problemi da risolvere o da evitare. Sia in famiglia e sia nelle istituzioni c’è molto meno misericordia di quella che ci vorrebbe. I responsabili non pensano ad amare chi non lo merita, ma a correggere ciò che danneggia gli altri. I pastori, responsabili dell’istituzione, facilmente fanno prevalere “il sabato” sull’uomo, con chiaro svuotamento del Vangelo: siamo dentro il male più grande.
Abbiamo visto come il male più grande si annida nelle anime elette che danno più importanza alle loro miserie che alla misericordia di Dio in Cristo. Pur trattandosi di problemi dell’intimità dell’anima è chiaro che molto dipende da come si governa la comunione. I pastori possono accentuare il dono della grazia o richiamare più facilmente alla corrispondenza. Nell’amore vale l’obbedienza, ma solo l’obbedienza dei figli. Non vale fare dei sottomessi per garantire che tutto funzioni. Il giansenismo ha deviato innumerevoli anime da una lotta ascetica piena di gioia e di carità fraterna. Ma c’è anche un progressismo superficiale che si contrappone al moralismo senza elevare l’animo ai desideri di santità. Non basta preoccuparsi dei bisognosi se manca un cuore misericordioso, un afflato di vera carità verso tutti, che è dono dello Spirito Santo.
Noi apparteniamo al Regno come figli in una grande famiglia, in comunione fraterna nuova, carismatica, operata dallo Spirito Santo: solo nella comunione carismatica dei figli di Dio, con le mediazione della paternità intesa come servizio alle persone, si possono superare le conflittualità che affliggono tutte le tribù in cui necessariamente si radunano gli uomini. Chi unisce è lo Spirito mentre chi divide fa la parte del demonio il cui compito è dividere le lingue a Babele per confondere i cuori degli uomini e togliere la carità. Deve vedersi questo modo nuovo di vivere in comunione perché il Vangelo possa affermarsi in tutto il mondo. Dopo 2000 anni siamo ancora abbastanza indietro, anche nel seno del presbiterio che unisce i sacerdoti intorno al Vescovo, o nelle parrocchie dove ogni laico dovrebbe poter vivere un vero cammino di santità6. C’è troppo poca visione soprannaturale. Anche in un cammino carismatico molti si fermano facilmente al consenso umano.
Si vuole che Dio salvi tutti o quasi (attenti però ai veri empi e al peccato contro lo Spirito Santo). E per questo si critica la Dominus Iesus senza accorgersi che si annulla il dono inaudito della misericordia divina, unica fonte di salvezza. Come si può pensare che è lo stesso venerare Allah o sapersi amati da Dio Padre, tanto amati che il Verbo si incarna e muore in croce per noi? A livello di religione si può certamente dialogare con tutti, per la buona volontà e per i tanti contenuti positivi di ogni religione, ma a livello della fede teologale c’è solo da pregare e adoperarsi per l’evangelizzazione, pur rispettando tutti con vera carità. Altrimenti si cade nel male peggiore, il male di chi annulla la forza salvifica del Vangelo. Dio salva quasi tutti dalla condanna eterna, ma per ignoranza. Se Gesù invoca l’ignoranza per salvare coloro che lo crocefiggevano, si può essere certi che tanti scamperanno all’inferno e si salveranno per i meriti di Gesù. C’è l’ignoranza quasi invincibile del consenso in un gruppo primario. Io capisco di essere peccatore come un mafioso o un terrorista: ognuno (eccetto i santi) pensa e opera a partire dalla sua appartenenza primaria, dalla relazione vitale in cui ha senso la sua vita. Questo vuol dire che non è facile distinguere i buoni dai cattivi, mentre è molto importante distinguere il bene dal male, cosa che oggi si fa sempre meno, proprio col pretesto di non giudicare le persone. Non si sa distinguere la persone dall’operare. Dio comunque sa che il mafioso fa quello che può e ne terrà conto per salvarlo al momento del giudizio finale, ma con un purgatorio che non si augura a nessuno, perché in cielo ci va solo l’amore puro o purificato. In quel momento si accorgeranno della misericordia di Dio ma non l’hanno goduta sulla terrà e dovranno purificarsi in Purgatorio per avere poi un piccolo calice colmo di felicità in cielo per sempre. Parte del purgatorio sarà proprio la scoperta di aver sbagliato tutto sulla terra, rimanendo privati della gioia piena di chi rimane nell’amore di Gesù (cfr Gv 15, 9+) e avendo causato danni e pene a varie persone. Inoltre è da considerare ciò che diceva Santa Teresa, che per un grado di più in cielo vale la pena giocarsi tutta la vita. La salvezza per ignoranza (e certamente per i meriti di Cristo, secondo la Dominus Iesus) è comunque terribile, per come si vive sulla terra e per ciò che non si saprà di aver perso in cielo. Si deve capire il comune problema dell’appartenenza primaria altrimenti è troppo facile cadere nel male più grande: non favorire l’appartenenza carismatica, unico modo di lasciare agire la misericordia di Dio che ci ama infinitamente e ci unisce nel suo Regno, assaporando la salvezza già nei nostri giorni terreni e favorendo il vero bene di tutti. Solo una evangelizzazione capillare in questo senso, per formare innumerevoli nuclei di comunione in Cristo, può portare a superare le divisioni, le guerre, e tutte le lotte quotidiane sul lavoro o in famiglia. Ciò è promesso nelle profezie e bisogna crederci. È possibile estendere la pace che Cristo ci ha guadagnati. San Paolo dice che Gesù è venuto ad abbattere il muro che c’è tra gli ebrei e i gentili (cfr Ef 2, 14). Di fatto si vive ancora così poco Vangelo che il muro ora è diventato alto e di cemento armato. Il senso è meraviglioso: c’è un’appartenenza nuova e superiore per il cuore umano, in Cristo e tra gli uomini, nella nuova ed eterna Alleanza: un nuovo popolo, il popolo di Dio! Ognuno manterrà la propria lingua (la propria cultura, le proprie tradizioni compatibili con l’eucarestia), ma innalzati ad una comunione nuova che armonizza tutte le diversità senza uniformare, nell’unione dei cuori e non nella formalità giuridica.
A volte viene da pensare, e perlomeno tante volte me lo hanno chiesto, perché Dio ha fatto le cose così complicate7. La realtà è che il piano di Dio è semplicissimo, e forse per questo profondo e ricco al punto da complicarsi per chi non lo legge nella sua semplicità. Diventa chiaro se si coglie il motivo per cui Dio ha creato il mondo: averci per sempre nella sua comunione trinitaria, nella gloria! E cioè che Dio ha creato il mondo per i santi. Fa parte del male più grande confondersi sulla santità, al punto da renderla onerosa e lontana, per privilegiati. I santi non sono più bravi di noi, perché la santità non si può meritare: è operata in noi dallo Spirito Santo. Richiede la nostra libertà, come dicevamo sopra. I santi sono più furbi di noi: hanno capito che c’è una cascata immensa di amore gratuito, che basta desiderare e chiedere al di sopra di ogni altro desiderio. Raniero Cantalamessa diceva che il contrario dei santi non sono i peccatori (ci mancherebbe! Anche i santi sono peccatori fino alla fine della vita sulla terra), ma i falliti! Effettivamente se Dio ha creato il mondo per i santi, chi non si santifica fallisce il vero bersaglio della vita. Anche se con tanto purgatorio un posto in cielo prima o poi arriverà, ma con tanto purgatorio già sulla terra. Perché in cielo ci va chi ha vissuto il cielo sulla terra. Nel purgatorio si capirà che la vera vita è nell’amore. Meglio accorgersene ogni giorno nell’esame di coscienza, scoprendo i tanti vuoti di amore, le ore non redente, ma ancora in tempo per recuperare quei vuoti con l’atto di contrizione. San Josemaría Escrivá ci diceva che l’atto di contrizione è il più bell’atto di amore: “Signore tu sai tutto, tu sai che io ti amo!” Gesù fa recuperare a Pietro i suoi rinnegamenti. Il buon ladrone recupera una vita senza amore con un atto di amore vero, di benevolenza, quando proclama l’innocenza di Gesù, difendendolo. Impressionante, in questo senso, sono le parole di sant’Ambrogio nell’Exameron: “Leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati” (IX, 10): Dio ama il peccatore e fa della miseria umana il luogo del suo cielo! È il primato assoluto della misericordia: non crederci, non desiderare sinceramente la santità per i peccatori, fa cadere nel male più grande.
Tutto diventa semplice: ognuno può desiderare e chiedere. Gesù insiste oltre ogni dire sul fatto che a noi tocca chiedere in nome suo (chiedere lo Spirito Santo). «Chiunque chiede riceve, e chi cerca trova» (Lc 11, 10), non dice “chiunque merita”. Pur che il desiderio sia sincero e smuova la volontà a volere. Il desiderio deve diventare inoltre preghiera umile, perseverante, lungo tutta la vita. La santa furbizia consiste nel convincimento che la vera vita è con Gesù e che conviene trascorrerla sulla terra insieme a Lui, senza bisogno di particolari ascetismi, pur che il cuore desideri l’amore. E il vero amore è operativo, ha la sua ascetica..
Perché in noi ci sia la santa furbizia occorre che la Chiesa ravvivi lo stupore di cui si alimenta il desiderio forte. Dio salva quasi tutti per ignoranza anche pensando che ognuno crede di usare la propria ragione e scegliere liberamente, ma si ragiona e si sceglie nel recinto ermenutico, come abbiamo detto. Pertanto la responsabilità ricade in buona parte (resta sempre la libertà personale, anche se ben più scarsa di quello che si crede) su coloro che ci precedono e in modo particolare sul modo di fare Chiesa. Solo un legame ecclesiale forte può vincere le tentazioni del peccato, e cioè la voluttà di acquisire una immagine sociale per la quale si è pronti ad ogni sacrificio. San Giovanni Paolo II fa dipendere proprio dalla capacità di destare stupore il compito della Chiesa nel mondo. Scriveva nella sua prima Enciclica, la Redemptor hominis: «Quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del Creatore se “ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore”, se “Dio ha dato il suo Figlio”, affinché egli, l’uomo, “non muoia, ma abbia la vita eterna”. In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, “nel mondo contemporaneo”. (…) Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. Contemporaneamente, si tocca anche la più profonda sfera dell’uomo, la sfera – intendiamo – dei cuori umani, delle coscienze umane e delle vicende umane» (n° 10).
Papa Francesco ha una bella pagina sullo stupore. Commentando, nel suo libro-intervista Il nome di Dio è misericordia, il passo del Vangelo in cui Gesù mette in guardia dai dottori della Legge che impongono pesi ma loro non li portano, fa notare che può succedere anche nella Chiesa: «All’origine di questi atteggiamenti c’è il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza che ti è stata donata. Quando uno si sente un po’ più sicuro, inizia a impossessarsi di facoltà che non sono sue, ma del Signore. Lo stupore comincia a degradarsi, e questo è alla base del clericalismo o dell’atteggiamento di coloro che si sentono puri. L’adesione formale alle regole, ai nostri schemi mentali, prevale. Lo stupore degrada, crediamo di poter fare da soli, di essere noi i protagonisti (…) La “degradazione dello stupore” è un’espressione che a me dice tanto» (pp. 81-82).
Del resto dobbiamo farci come bambini per entrare nel Regno, e i bambini che crescono in un ambiente sano sono sempre pieni di vitalità e di stupore: scoprono cose nuove e si rallegrano. Poi si cresce e si diventa saputelli, ma Gesù ci segue e vuole entrare nella nostra vita come un fidanzato per la fidanzata. E l’innamoramento è il massimo dello stupore. Alcuni santi, che ho chiamati “ammaestrati da Dio”, vivono proprio un innamoramento personale. Ma tanti devono arrivarci attraverso la mediazione della Chiesa: lo stupore deve iniziare dallo statu nascenti, che prende il cuore in una appartenenza nuova e si verifica quando un adolescente (o anche più grande) si sente accolto e valutato da un gruppo primario che ruba il suo cuore. Se il fenomeno si può dare con qualunque tipo di appartenenza, soprattutto ideologica, tanto più dovrebbe darsi in un cammino di santità con comunione carismatica primaria. E come l’innamoramento decresce in buona parte ma deve dar luogo ad un amore vero, capace di forti sentimenti, così lo statu nascenti in comunione viva ecclesiale in parte scema, ma per spingere ad una nuova conversione, all’incontro intimo e personale con Cristo, da innamorati, con nuovo e più autentico stupore. Lo stupore è per chi scopre cose nuove bellissime che riempiono il cuore di gioia. Se lo statu nascenti va scemando, occorre procedere verso l’incontro profondo e personalissimo con Gesù, operato in noi dallo Spirito Santo in una appartenenza che è trinitaria, capace di affrontare con serenità ogni pena che il mondo infligge.
Nessuno più di Cristo, nell’azione sempre sorprendente dello Spirito Santo (chiamato anche la fantasia di Dio) può rinnovare il nostro stupore. La Chiesa, con le sue liturgie, con il comandamento nuovo, con le profondità e bellezze teologiche, con la vita dei santi o con l’adorazione eucaristica, è chiamata a rinnovare in noi lo stupore. Là, dove non ci riesce, fallisce, e provoca il male più grande: l’ibernazione del Vangelo.
Bisogna chiarire il contenuto della parola cristianesimo, altrimenti si perpetua il fatto che la Chiesa, la più grande è bella istituzione di tutti i tempi, si dedichi a sostenere il cristianesimo come religione e non come fede vissuta. Non basta insegnare il catechismo e amministrare i sacramenti.
Diventa sempre più urgente uscire dall’equivoco di presentare un cristianesimo a due marce, quello dei comandamenti e quella dei precetti, quello di un residuo di religione da quello della fede viva che è cammino di santità. Gesù parla chiaro, e l’episodio del giovane ricco, sempre inteso come due modi di vivere il cristianesimo, in realtà indica il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Non ci sono due modi di vivere il Vangelo! Occorre una sequela di Cristo in un cammino di comunione primaria carismatica, e cioè che sappia di Pentecoste, di comunione in Cristo, di comandamento nuovo. Tali cammini si configurano nelle più diverse forme, ma devono essere cammini di santità, altrimenti siamo fuori dal Vangelo. Il fatto che nel secolo XX siano fioriti al di là delle comunità religiose che nei secoli hanno mantenuto vivo il Vangelo, dimostra che il battesimo può e deve essere vissuto vocazionalmente da tutti, in piena comunione8.
La chiarezza semantica non è facile; si rischia di creare steccati, esclusioni, presunzione o che altro. Non piace distinguere cristiani di serie A o di serie B. Ma forti del primato assoluto della misericordia, dell’accoglienza piena di ogni persona in qualunque regime di vita si trovi, rimane la possibilità e la necessità di proporre il Vangelo nella sua schietta realtà, e questo richiede un’espressione semantica adeguata, che oggi non c’è.
In questa necessità di verità evangelica, innanzitutto occorre chiarire che il cristianesimo si avvale della natura religiosa dell’uomo e della necessaria organizzazione sacrale ma solo per sostenere il Vangelo, che è incontro di amore con Gesù in una comunione primaria con i fratelli, nel Regno. Il cristianesimo implica una scelta cosciente del dono sacramentale, una partenza in un cammino ecclesiale reale, con altri vogliosi di rispondere alla chiamata di Gesù, legata al battesimo. I cammini reali nella Chiesa sono variegati e sorprendenti come solo lo Spirito Santo può suscitare. Disposti a tutto nell’amore alcuni si scoprono chiamati e liberi di seguire Gesù nel celibato, in un convento o in mezzo al mondo. Altri si scoprono disposti al servizio sacerdotale. Ma sono gli sposati che devono scoprire la realtà viva del sacramento del matrimonio come cammino di santità, pur che ci si ritrovi con altri ad edificare il Regno. Occorre valutare il battesimo in tutta la sua portata e lo si può fare solo in un cammino di comunione carismatica. È necessario chiamare le cose per quello che sono e concretamente dire con chiarezza ciò che il battesimo comporta, nella sua normalità di incorporazione a Cristo nel suo Regno. E questo in parrocchia, nei movimenti, in varie realtà che lo Spirito suscita e la Chiesa va riconoscendo. Fuori da questi nuclei di comunione carismatica non si vive il Vangelo ma solo un po’ di religione, importante ma non salvifica e comunque sempre più travolta dal secolarismo.
Salvezza vuol dire che l’amore in Cristo ci vale più degli altri amori. Se per il proprio gruppo primario tutti sono disponibili ai più grandi sacrifici, incluso quello della vita, si dovrebbe capire che per molti che si ritengono cristiani Gesù non è l’amore cui anela anche in segreto il cuore. Ciò si darà sempre, ma occorre chiarezza in modo che si sappia e che si possa verificare il cammino primario che si percorre e desiderare sinceramente la conversione in un cammino di santità, con altri ben consapevoli di ciò. Ognuno sarà in cammino di conversione, con molti risvolti di peccato, ma è fondamentale prendere coscienza di come si vive la fede cristiana. Si dovrebbe poter parlare di cristianesimo solo per coloro che si ritrovano uniti in un cammino carismatico. È chiaro che non si può arrivare a questo traguardo, ma allora occorre trovare l’espressione giusta ad indicare chi cammina coscientemente nel Vangelo rispetto ad un’area di tradizione religiosa cristiana.
Si può capire che il problema semantico è del tutto in alto mare, ma intanto occorre porselo. Nel cristianesimo parlare di elezione non vuol dire parlare di iniziati, di privilegiati che si erigono sopra gli altri. Eletti, nel Vangelo, sono quelli che si rendono disponibili alla chiamata. Purtroppo si è persa la nozione di un battesimo in dimensione vocazionale. Per questo si è creata la questione semantica. Per non offendere o presumere, di fatto si rimane in grande confusione, che è arma preferita dal demonio. Eppure per secoli abbiamo tollerato un cristianesimo di serie A nei conventi e uno di serie B nel mondo, senza chiarire che si trattava di due cristianesimi diversi. San Paolo distingue i cristiani ancora infanti, scossi da ogni vento di dottrina, dai cristiani adulti. Negli ultimi tempi “cristiano adulto” è diventato sinonimo di cristiano che dà più importanza alla politica che ai dettami naturali della legge di Dio (i cosiddetti valori non negoziabili, che Papa Francesco non ha tolto, ma solo precisato che tutti i valori sono non negoziabili), facendo venir meno la possibilità di chiarezza. Io propongo di usare la distinzione tra i battezzati che prendono consapevolezza della portata del battesimo e i tanti che non sono consapevoli. Consapevoli della chiamata universale alla santità, consapevoli del comandamento nuovo che unisce più di ogni altro amore, della necessità dell’orazione per una vera vita interiore, con il Risorto, consapevoli del mandato apostolico legato al battesimo, ecc. Consapevoli vuol dire che il bene lo si conosce quando lo si fa e il male quando lo si evita. Non basta la consapevolezza del catechismo, ma di chi cammina. Fragilità e peccati diventano aiuto alla consapevolezza del bisogno di conversione, dell’essere peccatori, ma chi è veramente consapevole li usa per desiderare, per chiedere, per ricominciare ogni volta con più fiducia, sapendo che il Vangelo è dono gratuito per il peccatore e non codice morale.
Non si tratta di separarsi in una elite sociale, ma neppure chiamare amore ciò che amore non è; e l’amore soprannaturale implica una scelta libera che unisce in Cristo. Oggi si introducono molte parole in inglese per la loro capacità di isolare un concetto, di evidenziare un contenuto che altrimenti rimane nel vago, per facilitare la comprensione di problemi complessi. Tale esigenza è da portare anche nella vita cristiana, per distinguere il vero cristianesimo dalle tante riduzioni che lo vanificano. Non c’è solo l’eresia a ridurre la portata della verità salvifica, ma anche la confusione. Ci saranno sempre mille modi diversi di santificarsi vivendo il Vangelo in cammini diversi, ma ogni cammino deve essere ben impostato sui contenuti salvifici. Tutti i battezzati sono di fatto cristiani, ma occorre chiarire che non basta il dono oggettivo del battesimo se non c’è consapevolezza per operare con libertà una scelta che coinvolga tutta la vita e ponga in una relazione primaria rispetto a tutte le altre relazioni. Come si diceva: non basta avere un tesoro nascosto nel giardino se nessuno ne è a conoscenza: si è ricchissimi e si vive da poveracci. La consapevolezza richiede anche una semantica appropriata, che oggi non c’è. C’è grande carenza di riflessività.
Papa Francesco giustamente fa notare che molti cristiani non vivono il Vangelo. La raccolta dei suoi ammonimenti è già lunghissima. Ne porto alcuni ad esempio: Vecchie comari / Sgranarosari / Funzionari / Assorbiti da se stessi / Neo pelagiani / Restaurazionisti / Cristiani ideologici / Signor e signora Piagnistei / Cristiani liquidi / Cristiani superficiali / Mummie da museo / Principe rinascimentale / Vescovo da aeroporto / Facce da funerale / Elitari / Cristiani con la faccia da sottaceto / Cristiani pagani / Cristiani con la fede annacquata / Cristiani anestetizzati / Cristiani nemici della Croce di Cristo / Io sono un vero Cattolico – dicono – perché mio zio era un gran benefattore, la mia famiglia è così, io sono cosà… Io ho imparato, io conosco questo Vescovo, questo Cardinale, questo sacerdote… Io sono così o cosà… Pensano di esser migliori degli altri: questa è ipocrisia / Apparenze! Cristiani dell’apparenza… sono morti! / Pagani con due mani di vernice cristiana, in modo da apparire come i Cristiani, ma ciò nonostante pagani!
Come si vede Papa Francesco ha ben presente che tanti battezzati non vivono il Vangelo. Non è questione di incolparli, perché bisogna vedere come hanno inteso il cristianesimo coloro che avevano intorno. Nella necessità di distinguere un cristianesimo coerente col Vangelo da tante pratiche cristiane legate solo alla pietà popolare su base religiosa ma senza l’afflato della fede, della presenza di Cristo nella vita di tutti i giorni, non si pensa a gente eccezionale che si distingue da gente fragile9. Tutt’altro. Si distingue la consapevolezza di un cammino di santità da una appartenenza solo socio-sacrale. E anche chi è cosciente di camminare con altri in una comunione carismatica ha le sue fragilità e i suoi limiti o anche peccati, ma diventa decisiva la consapevolezza. Come diventa sempre più urgente una riflessività sul bisogno di relazione per dare senso alla vita, tanto che tutti hanno una appartenenza primaria, di cui normalmente non sono consapevoli, ma che determina il loro pensare e il loro agire10, ugualmente occorre una riflessività all’interno della comunione cristiana, per distinguere una comunione che lascia agire lo Spirito Santo (comandamento nuovo!) da altri modi di appartenere alla Chiesa a livelli insufficienti per poter parlare di cristianesimo o di Vangelo. La riflessività sarebbe oltremodo facilitata da una precisazione semantica che distingua ciò che nel cristianesimo è di religione o ciò che è di fede, come anche che si possa distinguere una appartenenza socio-sacrale da una appartenenza carismatica, ma anche indicare la differenza enorme che c’è tra appartenenza primaria o secondaria.
La confusione semantica è una delle cause per cui tanti cristiani desiderosi di impegnarsi e pronti ad aderire ad iniziative apostoliche anche in tante parrocchie, si fermino ad un livello di appartenenza socio-sacrale, di volontariato, di preghiera che è senz’altro lodevole, ma che non ha le caratteristiche di un cammino di santità, di appartenenza carismatica primaria.
Solo il Vangelo può salvare il mondo dai suoi mali. Ma il Vangelo opera solo in spiritualità di comunione come ben dice la Novo millennio ineunte. E la spiritualità di comunione è primaria e carismatica. Funziona in parte nei religiosi e nei movimenti (in parte, perché non basta farsi benedettino per santificarsi, specie se non si riflette su cosa è spiritualità carismatica e si finisce anche nei movimenti a irretirla nella prevalenza della istituzione). Non basta parlare, esortare. Occorre proporla e camminare insieme.
Il problema infatti non è nella mancanza di fede o di generosità di tanti cristiani ma nella mancanza di un’asticella posta a misura alta, per dirla con San Giovanni Paolo II. Il suo magistrale documento Novo millennio ineunte non ha avuto l’effetto che si meritava per il semplice fatto che non viene esplicitata la necessità di una proposta chiara, di scelta, di sequela, di comunione forte, primaria: dentro o fuori. Inutile parlare di un mondo nuovo, con ogni sorta di esortazione, se non si pone il fedele di fronte alla necessità di imbarcarsi in una delle navi della flotta della Chiesa che può raggiungere il nuovo mondo attraversando l’oceano. O ci si imbarca in una nave concreta (“chiesa locale con comunione carismatica”) o si rimane estranei all’avventura del Vangelo. I cammini di amore richiedono libertà, scelta reale e concreta, legame fraterno primario. Il dentro o fuori non esclude nessuno ma fa discernimento sulla fede. Fuori da una appartenenza primaria anche un documento di straordinaria importanza come la Novo millennio ineunte rimane una esortazione, del tutto inefficace; eppure parla di spiritualità di comunione! Solo alcuni solerti pastori lo ricordano nelle loro esortazioni. È un documento destinato a rinnovare la Chiesa, secondo la profonda ispirazione del concilio Vaticano II; rimanda infatti alle due colonne portanti del Concilio: chiamata universale alla santità e spiritualità di comunione, che corrispondono alla necessità di un cammino di santità in comunione primaria carismatica. Eppure tale documento rimane nel dimenticatoio dei documenti pastorali per mancanza di chiarezza d’appartenenza, cioè per mancanza del momento generativo, di cui dicevo, ignorando tra l’altro che è oltremodo più facile ottenere una risposta radicale che una pratica mediocre.
10 È impressionante come si possa vivere per secoli in recinti ermeneutici ridotti. O come ci si può convertire con tutto il cuore ad una setta appena nata. È impressionante vedere milioni di protestanti vivere con decisione una appartenenza che si crede pienamente evangelica mentre mutila il Vangelo dell’Eucaristia, di Pietro, di Maria, della confessione. Ma anche che la Chiesa abbia potuto dedicarsi alla religione per secoli, lasciando la fede alle esortazioni e ai conventi.